Si narra che Papa Bonifacio VIII abbia spedito un messaggero a Giotto, con la richiesta di disegnare qualcosa che dimostrasse il suo talento. Così il pittore, con il suo pennello, avrebbe disegnato un cerchio perfetto, con un unico tratto.
Tradurre non è un processo simile al “copia-incolla” per cui, come per magia, con un solo click trasportiamo le parole da una lingua all’altra, nonostante molti la pensino ancora così.
Un’ulteriore conferma dell’esistenza di questa leggenda metropolitana l’ho avuta recentemente, guardando l’ultimo “sforzo” di 007.
Mentre James Bond plana sul Tevere con un’Aston Martin grigio metallico, l’assistente, al pc dall’altra parte del mondo, cerca per lui informazioni sul nemico e trova un articolo fondamentale, ahimè in tedesco, ma basta cliccare sul pulsante “translate” e.. abracadabra!
Al di là della veridicità dell’aneddoto, anche Giotto, prima di compiere quel gesto perfetto, nella sua mente avrà di certo elaborato cosa fare e come. Cioè, un qualsiasi prodotto di qualità, che sia un disegno, una scultura, una costruzione architettonica o un testo tradotto, è frutto di un’idea, poi presto o tardi, attraverso un processo di elaborazione, la mano si avvicina sempre più a ciò che la mente ha concepito.
Michelangelo diceva che la scultura si trovava già nel blocco di marmo, lui doveva solo liberarla. Così, prima di “estrarre” il testo tradotto dai grovigli d’ipotesi e congetture, occorre un lavoro serio e preciso volto a individuare il contesto, il tipo di linguaggio e il tono generale utilizzato.
Mano a mano si scartano le parti superflue e il testo prende forma. Anche la migliore delle traduzioni avrà perso qualcosa per strada e il difficile sta proprio nel capire cosa portare dall’altra parte della sponda e cosa sacrificare. Capita di sentirsi un po’ equilibristi tra due lingue, due mondi e due (o più) scelte.
Pretendere di ottenere il cerchio perfetto quando si traduce, cioè la miglior soluzione al primo tentativo, è poco realistico. Certo, con testi per cui non è necessaria una lunga ricerca terminologica, può capitare che si arrivi sin da subito a una stesura più vicina possibile a quella finale, ma in ogni caso ci sarà un lavoro di revisione a seguire. Quindi, che sia prima o dopo, l’artigiano deve passare del tempo con la sua opera e curarla, prima di poterla ritenere pronta.
Se nessuno di noi ha la bacchetta magica, allora è fondamentale saper gestire il proprio tempo in base alla propria velocità (che può dipendere dal tipo di lavoro e dall’esperienza) e alle fasi di lavoro previste. Letture, ricerce terminologiche, traduzione e revisione, sono tutte preziose e se non sappiamo organizzarci, ecco che spunterà il Bianconiglio sulla nostra scrivania, che corre avanti e indietro mormorando angosciato. Se lo seguiamo, c’è il rischio di dimenticare qualche pezzo per strada, consegnando un prodotto incompleto, pur di “arrivare”.
Lo dice anche Dante nel terzo canto del Purgatorio: “la fretta, che l’onestade ad ogn’atto dismaga”, cioè la fretta manca in ogni atto virtuoso. Sì, abbiamo delle scadenze ben precise da rispettare, ma se l’agitazione si fa troppo viva perdiamo di vista l’obiettivo finale, cioè la qualità.
Per quanto si possa essere casinari e procrastinatori, la capacità d’organizzazione migliora, almeno un po’, con l’esperienza, quando si è più consapevoli dei propri tempi e delle proprie possibilità, perché sappiamo già dove stiamo andando e quanto tempo più o meno impiegheremo.
La qualità dipende anche da questo. Una volta che si è in grado di prevedere quanto tempo ci servirà e quanto effettivamente ne abbiamo a disposizione, la gestione diventa più fluida. Quello della revisione, ad esempio, è un momento fondamentale e molto delicato. Potrebbe essere paragonato un po’ a un viaggio nel tempo. Come Doc e Marty McFly, torniamo indietro per controllare cos’ha fatto il nostro io del passato e lo correggiamo, o magari gli diamo una pacca sulla spalla.
Quando si pensa alla traduzione, più che un cerchio perfetto, dovremmo immaginare di tracciare un Màndala, uno di quei diagrammi composti da circoli e quadrati concentrici che rapprensentano l’universo e la sua origine, usati anche dai monaci buddisti per favorire la meditazione.
Anche nel caso della creazione di un testo, una volta trovata la sua anima, il suo nocciolo, andiamo ad espanderci verso l’esterno, creando un nuovo universo di parole.
Se pensiamo alla perfezione come al raggiungimento di quella lucida calma perenne, per cui nulla ci tange e nulla c’inquieta, dove una serena consapevolezza delle nostre capacità ci permette d’esorcizzare definitivamente l’ansia e il Bianconiglio, suo piccolo e irritante ambasciatore, sappiamo già che è molto molto difficile raggiungere e mantenere, almeno per più di un’ora (?!), questo stato di beatitudine. In realtà la perfezione è un obiettivo cui tendere, nostra motivazione e forza motrice.
Per quel che mi riguarda, il Bianconiglio mi è apparso davanti agli occhi già alle elementari. Io e il mio gatto cerchiamo di tenerlo buono con una tazza di tè e un po’ di musica.
Quella con l’ansia è una dura lotta quotidiana e si arriva sempre alla sera con qualche ferita, ma una volta che finalmente si smette di correre, il fiato corto svanisce, ci accorgiamo del “panorama” e spuntano alcuni dettagli importanti che la fretta ci aveva nascosto.
D’un tratto ci rendiamo conto che, se vogliamo un lavoro di qualità, seguire il Bianconiglio, per quanto insistente, non è la scelta giusta.
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