Venerdì 4 dicembre, si prospettava una giornata nera a Roma, sciopero dei mezzi e circolazione a targhe alterne. I giornali consigliavano quasi di chiudersi a chiave e rimanere sotto le coperte.
Siccome non ci piace vincere facile, io avevo deciso di andare comunque, per la prima volta, alla Fiera della piccola e media editoria Più Libri Più Liberi, dove le piccole case editrici mettono in mostra la loro produzione, un luogo d’incontro per i professionisti della filiera del libro, tra cui figuriamo anche noi traduttori.
Alla fine, non mi sono fatta fermare dai vari “ma chi te lo fa fa’”. Sveglia puntata alle 5, ancora abbracciata a Morfeo, faccio colazione. Fuori è buio, freddo, il gatto mi guarda perplesso, mi sveglio del tutto verso l’ultimo sorso di tè e penso che non vedo l’ora di arrivare.
Dopo un autobus, un treno e una decina di fermate della metro, incastrata come una sardina in scatola, com’è normale che sia, scendo a ‘Eur Fermi’. Chiedo indicazioni per il Palazzo dei Congressi ed ecco che l’anelata meta appare all’orizzonte. Erano le 8, c’erano ancora le balle di fieno, mancavano 2 ore all’apertura, ma di lì a poco sarebbe iniziato lo sciopero e avrei rischiato di non arrivare mai.
Là ho trovato la mia collega Valentina Stagnaro, abbiamo girato per gli stand e fatto qualche incontro interessante che ci ha fatto riflettere. Così tra un panino, una piadina e un caffè ci siamo confrontate…
Qui di seguito trovate la mia intervista a Valentina.
S: Vale, mi hai detto che vieni alla fiera quasi ogni anno, perché pensi valga la pena andare, soprattutto per un traduttore?
V:Ci vado più che altro perché odio i supermercati di libri e adoro chiacchierare. Hai mai provato a chiacchierare con un commesso di Feltrinelli? Impossibile. Da quando ho capito che, forse, potevo tradurre qualcosa anche io, ci vado più che altro per mirare bene con la proposta editoriale. Ne ho covata una per un anno, ma quando l’ho mandata (due settimane fa, sembra un vita) sapevo che era esattamente il titolo che mancava al catalogo dei miei prescelti. Serve perché, in sostanza, si parla di libri e i libri sono alla base della mia piramide alimentare. Mi fa stare bene.
S: Lo spazio che viene dato alla nostra professione in eventi simili, ma anche nella ristretta superficie della copertina di un libro, secondo te è sufficiente a rendere i lettori e potenziali clienti consapevoli di quel che facciamo?
V: Oddio, quest’anno non sono riuscita ad andare a nessuno degli incontri. Quando provo a spiegare alla gente che lavoro faccio, sento che li annoio. Mi sembra che questi incontri siano ancora visti come sabba di tecnici che si sbrodolano addosso parole incomprensibili, come se fossimo accademici della Crusca o ingegneri della Nasa. Non gli entra proprio in testa che Marquez non scriveva in italiano.
S: Collegandomi alla domanda di prima, qual è il tuo rapporto con i libri?
V: Beh, morboso. Colleziono edizioni di Cime tempestose. Lo spazio è quello che è, in casa, quindi mi sono un po’ slegata dall’acquisto compulsivo e cerco di farli circolare, i libri. I libri li distruggo, li sottolineo, me li porto dietro, faccio le orecchie, ci poggio sopra il caffè. Non sono particolarmente selettiva, mi piacciono i libri noiosi oppure gli splatter. Mi piacciono i saggi, i libri di storia, di filosofia, e poi, diciamolo, sono un’americanista. Mi dai Hawthorne o Faulkner e mi tieni a bada per un po’. Ma Cime tempestose è il mio porto nella tempesta.
S: Tradurre permette di rendere fruibile un testo a un pubblico più ampio. Per dire, non conosceremmo le fiabe di Andersen se non le avessero tradotte. Per fare questo lavoro bisogna sviluppare un’empatia con il testo, cercare di mettersi nei panni dell’autore, comprenderlo a 360 gradi. Pensi che questa capacità si possa applicare anche nel rapporto tra colleghi? Riformulando, quanto pensi sia importante il networking, la capacità di ascolto e confronto tra noi traduttori?
V: All’inizio, temevo che i traduttori fossero tanti piranha feroci in una vasca con poco cibo. Poi ho visto che non erano diffidenti, anzi! Ci piace chiacchierare, conoscerci e scambiarci notizie, quando usciamo dalla grotta. Penso che sia fondamentale. Non networking nel senso di volantinaggio porta a porta, ma quello produttivo, in cui commenti articoli interessanti, dici la tua, ascolti quella degli altri, impari, suggerisci. Io sono quella che accosta e chiede indicazioni, se non so una cosa, ho un dubbio, non mi viene, vorrei sapere una cosa… io scrivo, telefono, chiedo. Non mi sono mai chiesta se ci si possa sovrapporre totalmente, tra colleghi, come si dovrebbe fare con l’autore, ma ci si può andare molto vicini. Non trovo, soprattutto, alcun aspetto negativo nel fare networking. Quello sano, eh. Non quello in cui mi condividi la foto del piatto di sushi e la tagghi #translation #t9n #xl8.
S: La fiera è stata chiamata “più Libri più Liberi”, in Italia sembra ci siano pochi lettori. Molti usano i libri solo in ambito scolastico, perché costretti e non conoscono quell’inestimabile opportunità di arricchirsi e crescere, quel piacere di tuffarsi in nuovi mondi, viaggiare, vivere altre vite, scoprire nuove idee. Pensi verrà mai il giorno in cui la lettura sarà il nuovo fenomeno di massa, come l’ultimo modello di smartphone o social network?
V: No. (La tentazione di non argomentare nemmeno è stata forte). Onestamente, no. Anche se potevo farti sognare con una risposta meravigliosa. Non credo, per una serie di motivi. Il primo esempio demotivante che mi viene in mente è che nessuna delle mie alunne, che vanno da 14 ai 17 anni, legge. Se leggono, leggono spazzatura, libri semi-porno (non che io non li legga, eh! Ma ho anche letto Anna Karenina!) e status altrui su Facebook. Non sono in grado di fare alcuna riflessione sul bello, né sono in grado di apprezzarlo. Poi, dico, è solo una piccola finestra sulle nuove generazioni. Io non ero così, certo, ma non avevo lo smartphone. Quanto ai grandi, fatti salvi i lettori accaniti, chi non ha mai letto, non leggerà mai. Il secondo è che, secondo me, manca l’educazione alla letteratura, come manca, a me, l’educazione alla musica. Sono in grado di apprezzare solo le cose che ho studiato, in musica, non ho sviluppato un mio gusto, tantomeno saprei argomentare perché un autore mi piace o un altro no. A volte, mi vergogno quasi, non so collocare un musicista nel tempo. Poi ci lamentiamo se Violetta spopola. Non so se rendo l’idea. Non si può liquidare l’Ariosto leggendone le parafrasi, perché non c’è tempo di approfondire la (complicatissima) lingua dell’autore o la metrica. È come dire che Wagner ha composto quella suoneria del Nokia 3310 che io avevo abbinato a mia madre, quando chiamava (era la cavalcata delle Valchirie).
Ovviamente, mi piacerebbe un boom della letteratura, credo anche che non ci vorrebbe molto a rilanciare quest’intrattenimento millenario meglio noto come narrativa. Goodreads, ad esempio, il social per lettori, è una droga.
E voi? Che ne pensate? Siete andati alla Fiera o eventi simili? Pensate di andarci mai? Lasciate un commento e diteci la vostra!
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