Avevo 10 anni, un improbabile costumino intero a stampe geometriche riempito da qualche panino di troppo, tanta paura delle onde e di finire con la testa sott’acqua. Facevo il bagno solo quando il mare era perfettamente calmo. Avevo tutto perfettamente sotto controllo, o almeno credevo.
In quel periodo stavo a mollo con le amiche anche un’ora, finché le dita non mi diventavano rugose come quelli di una 90enne. Un pomeriggio però le cose non sono andate come previsto, sarei dovuta uscire già da una mezz’ora, ma mi sono trattenuta “altri 5 minuti” e improvvisamente il vento ha iniziato a cambiare, soffiando forte verso il largo.
Senza che me ne accorgessi, mi sono ritrovata vicina alla boa, dove non si toccava. Ricordo bene la sensazione: il cuore che mi pulsa nelle orecchie, il fiatone e le gambe sempre più pesanti mentre spingo per tornare alla riva che sembra sempre più lontana.
Alla fine, sott’acqua ci sono finita, nuotando e tenendo testa alla corrente. La paura è stata tanta, non ricordo bene quanto ci ho messo, ma in qualche modo sono arrivata a riva, insistendo, con il cuore in gola.
Come si legge nell’enciclopedia Treccani “Darwin, (…) si convinse che la lenta modificazione delle specie, quindi la loro evoluzione, era dovuta principalmente dalla selezione naturale: cioè sopravvivono e si riproducono gli individui dotati di caratteristiche più vantaggiose nella lotta per l’esistenza (in sostanza, meglio adattati all’ambiente)”.
In questi mesi di lavoro intenso, mi sono trovata a riflettere molto su quanto sia fondamentale la capacità di adattamento e la tenacia, per sopravvivere e diventare più forti.
Vi sembrerà strano, ma l’epifania ce l’ho avuta in particolare una sera di fine luglio, mentre traducevo un documentario sull’ornitorinco, quella strana creaturina che sembra un puzzle di tante altre. Con il becco e le zampe simili a quelle di un’anatra, il corpo e il pelo di una lontra e la coda di un castoro, mi è sembrato l’esempio vivente di come in natura sopravviva chi riesce ad adattarsi ai cambiamenti e trarne beneficio in qualche modo, sviluppando dei piccoli grandi ‘super poteri’.
Se è vero che in ogni lavoro oggi più che mai è fondamentale mantenersi sempre aggiornati ed elastici al mutare degli eventi, credo che la traduzione sia uno di quei mestieri per eccellenza in cui dalla mattina presto fino a notte inoltrata ti ritrovi a dover affrontare una serie di tsunami, ognuno con caratteristiche e intensità diverse, con il compito di escogitare con creatività e concentrazione la soluzione migliore per tornare a riva.
Macinando rulli e cartelle, mi sono ritrovata a saltare da un mondo all’altro: da bambine che immaginano avventure con coniglietti e orsetti parlanti, a minatori e camionisti che mi hanno spinto a cercare quanti più sinonimi possibili esistano dell’espressione “Holy cow!” (letteralmente: porca vacca) per limitare le ripetizioni nella resa in italiano.
Trovarsi a dar voce a tizi tamarri che litigano per accaparrarsi un garage messo all’asta; passare ore a cercare termini appropriati che descrivano la manovra di un autocarro necessaria a caricare correttamente un escavatore di svariate tonnellate; dover tradurre alle 2 di notte una canzoncina in rima per un cartone animato, mentre sullo sfondo un orsacchiotto con gli occhiali a cuore fa la danza moonwalk e ormai in casa pure il gatto ronfa spazientito alle mie spalle, non solo mi ha portato a testare i miei limiti, ma mi ha fatto riflettere proprio sui confini del “possimpibile” che attraversiamo senza accorgercene ogni volta che non ci facciamo frenare dalle difficoltà. Come un pokémon che evolve all’improvviso, insomma.
Cos’è il possimpibile? Come dice Barney Stinson è “il punto in cui ciò che è possibile e ciò che è impossibile si mescolano”. La linea che divide il possibile dall’impossibile non è mai così netta e soprattutto non è oggettiva né fissa. Spesso siamo noi a porci dei limiti, ci costruiamo porte blindate oltre le quali siamo convinti che precipiteremmo da un burrone come Willy il coyote.
Ma quante volte invece il vento cambia improvvisamente e ci spinge su quei burroni che ci terrorizzano tanto? Quante volte nella vita ci manca la terra sotto i piedi, tanto da avere la sensazione di sprofondare nell’abisso per poi scoprire di avere dentro un piccolo samurai che non si arrende, a dispetto di tutto? Spesso e volentieri nell’arco di una sola vita si può morire e rinascere con una nuova pelle svariate volte. In questi ultimi anni, mi sono lanciata da un bel un po’ di burroni e a livello professionale ho scommesso su me stessa. Ho fatto un salto nel buio, andando oltre quei famosi limiti che mi sono sempre imposta, uscendo dalla mia comfort zone per vedere cosa ci fosse al di là di quell’onda che mi spaventava. Così, per esempio, ho conosciuto persone e ambienti diversi andando a caccia di corsi che mi ispirassero e mi facessero crescere.
A maggio sono stata a un bellissimo laboratorio, il sogno e il mestiere con Morena Forza e Ilaria Urbinati, due ragazze illustratrici professioniste davvero in gamba che, con un piglio ironico ma ‘fermo e severo’ ci hanno spiegato come funzioni il mondo dell’illustrazione. Il disegno mi ha sempre accompagnato in ogni momento e per la prima volta mi sono ritrovata a mostrare i miei lavori a professionisti del settore che mi hanno dato consigli e dritte illuminanti per coltivare al meglio questa mia passione. Ho incontrato persone che mi hanno ispirato tantissimo e ho avuto nuove conferme di quanto siano importanti l’esercizio, la costanza e lo spirito di sacrificio, mantenendo sempre salda la dignità.
Un altro workshop illuminante è stato Web content enjoyneering: come creare e tradurre contenuti per il web ed essere felici. È incredibile vedere come cambi la percezione di un testo quando ci scorre su uno schermo invece che sulla carta, tra le dita. Il lettore web non ‘legge’, ma cerca ciò che gli interessa. C’è sempre meno tempo da dedicare e per questo, da bravi artigiani della parola, dobbiamo saper cucire il testo addosso al lettore, sapendo prendere le giuste misure.
Durante questo laboratorio mi hanno colpito molto due affermazioni: Maria Pia Montoro ha citato Cicerone con la frase omnia mea mecum porto, tutto ciò che è mio lo porto con me. Ognuno di noi infatti ha un bagaglio unico di esperienze e sensibilità diverse cucito sulle proprie spalle. Nel lavoro, la passione vera e la creatività sono strumenti fondamentali e – insieme alla necessità di pagare le bollette– sono tra i motori principali che ci tengono svegli quando abbiamo una consegna dopo l’altra e non ci ricordiamo neanche che giorno è. Un’altra frase che mi ha fatto riflettere è stata quella di Terenzio citata da Andrea Spila, nihil humanum a me alienum puto, niente di ciò che è umano mi è estraneo. In questo caso si riferiva al fatto che anche strumenti apparentemente alieni come i computer, per quanto possano sembrarci incomprensibili e incontrollabili alle volte, in realtà sono creature dell’uomo quindi, anche in questo caso, si tratta sempre di non lasciarsi sconfortare da quello che ci sembra impossibile.
Certe volte facendo questo lavoro sembra quasi di dover risolvere il cubo di Rubik e arrendersi non è un opzione; dobbiamo saper esplorare termini e settori su più livelli, senza gabbie mentali. Tradurre infatti significa anche saper gestire più livelli linguistici, ad esempio nel settore audiovisivo, oltre al consueto fattore ‘contesto’ – dove un gruppo di minatori non può parlare con lo stesso registro di una bambina che danza con il suo coniglietto viola – ci sono anche le lunghezze delle battute di cui tener conto.
Poco tempo fa ho lavorato su un docu-reality di aste americane, c’era la scena di un tizio che maltratta continuamente il figlio 40enne e, aggiudicatosi un lotto, in mezzo agli scatoloni trova un ventilatore. Rivolgendosi al figlio dice “Oh look! A new fan. The biggest fan you’ll ever have”, letteralmente “un ventilatore nuovo, il più grande fan che avrai mai”. Là dove in inglese il termine fan significa anche ‘ventilatore’, dovendo mantenere il gioco di parole, ho risolto traducendo con “Oh guarda! Un ventilatore nuovo. L’unica cosa con cui potrai mai darti delle arie”.
I traduttori devono affrontare ogni giorno casi ben più complessi e ‘rognosi’ di questo e in generale, ognuno di noi si trova o si troverà a doversi reinventare continuamente per poter non solo restare a galla, ma cavalcare la temibile onda gigante in modo da arrivare a riva …con stile.
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