Il giorno in cui il mondo è cambiato
Mi ricordo bene la prima volta che ho rimesso piede fuori casa a marzo, dopo l’annuncio del lockdown. Mio marito con mio figlio di 6 mesi a giocare sul divano. Il gatto che sembrava chiederci: “Ma oltre ad aver portato in casa questo nano molesto, avete deciso di starmi tra le zampe tutto il giorno!?”. Il frigo era vuoto e i secchi della spazzatura pieni. Dovevamo andare a buttare l’immondizia in fondo alla strada e a prendere qualcosa da mangiare in centro. Mi sono proposta io di uscire, era una bella giornata e volevo camminare. Ed eccomi là, a passo svelto immersa in un silenzio assordante, con la mascherina che saliva o scendeva troppo e i guanti che mi appiccicavano le dita. Mi sentivo come in un videogame: dovevo portare a termine la missione “spazzatura + spesa” e tornare a casa, con un bonus di mille punti se interagivo il meno possibile con altri esseri umani. Nel giro di pochi giorni, il mondo che conoscevo non esisteva più. Era sospeso, in silenzio ad aspettare, impaurito.
Vecchi e nuovi mostri
Da allora mi sono abituata a indossare la mascherina, a igienizzarmi le mani millemila volte e a non avvicinarmi troppo alle persone con cui non convivo, affrontando ogni giorno nuove incertezze e paure, che si sono aggiunte a quelle vecchie.
Sì, perché ci sono dei mostri sotto al letto che noi traduttori conosciamo già molto bene: il NonLavoreròMaiPiù, che spunta dopo ogni consegna, quando non arrivano per giorni nuove commissioni e iniziamo a temere il peggio. Allora, per zittirlo, ci rimbocchiamo le maniche e ricominciamo a metterci in gioco per trovare nuovi clienti; Il TantoNonCelaFaccio, quello che si presenta quando ci propongono un lavoro per cui non ci sentiamo all’altezza, accompagnato dal suo cuginetto bastardo SonoUnaPippa, che ci fa venire la tremarella al pensiero di rileggere un nostro lavoro a distanza di giorni, mesi o addirittura anni dalla consegna, per la convinzione di trovare errori imperdonabili sparsi qua è là che confermano quanto siamo incapaci.
Ai timori con cui conviviamo quasi quotidianamente dal momento in cui abbiamo aperto la partita IVA, in quest’anno strano se ne sono aggiunti altri, senza contare la preoccupazione per la propria salute e per quella delle persone a cui teniamo. La pandemia infatti, nel migliore dei casi, ha stravolto il modo in cui abbiamo sempre lavorato, a livello di ritmi e modalità. Molti settori hanno subìto dei colpi durissimi con i mesi di stop. Nel mondo dell’audiovisivo, la pausa forzata ha causato una reazione a catena in tutta la filiera: set fermi, produzioni e post-produzioni sospese e, di conseguenza, meno copioni da tradurre, adattare e doppiare. Fanno eccezione i documentari e i cartoni animati, ovvero tutti quei generi che non richiedono set troppo affollati per essere prodotti.
Per chi poi è diventato genitore da poco come me, il mondo si è capovolto due volte, prima con l’arrivo di un figlio che rimette in discussione ogni equilibrio nel bene e nel male, poi con l’arrivo di una pandemia che si è presa tutto quello che fino a pochi mesi prima davi per scontato, come l’abbraccio stretto di un amico.
Dalla paura alla grinta
Ora che niente sembra sicuro, sono emerse più chiaramente le priorità, ovvero tutto quello dobbiamo preservare per star bene. Questa condizione strana potrebbe anche rivelarsi uno stimolo per rivalutare il nostro metodo di lavoro e come ci poniamo con i clienti. Molti di noi hanno dovuto riorganizzare e condividere spazi e tempo, soprattutto chi ha figli che hanno iniziato la didattica a distanza, e mariti/mogli costretti a lavorare da casa. Oppure, come nel mio caso, chi ha un bimbo ancora troppo piccolo per andare a scuola che appena accendi il computer ti allunga le manine sulla tastiera. Insomma, si arriva a un punto in cui dobbiamo decidere se non resta che prendere a capocciate il muro, oppure se è arrivata l’ora di trovare la grinta per spremere ogni minuto disponibile e concentrarsi di più sull’obiettivo da raggiungere. Insistere nel riproporre vecchi schemi e abitudini, in un contesto così trasformato, sarebbe assurdo.
Legami preziosi quanto il pane
Ora che tutto è più faticoso e surreale, abbiamo imparato a fare scorta di ciò che ci aiuta a non lasciarci ingoiare dall’angoscia. Ci viene naturale cercare quelle risorse che danno energia e speranza, o magari che ci permettono di distrarre la mente anche solo per qualche ora, un po’ come il lievito per impastare il pane.
Io, in questi mesi in cui le occasioni di incontro si sono ridotte quasi a zero, mi sono resa conto di quanto bene abbia fatto negli anni passati a prendere il treno per partecipare a tutti quei corsi e convegni, per confrontarmi e conoscere persone con cui condivido la passione per questo mestiere e la voglia di imparare. Proprio grazie a quelle occasioni, ho conosciuto colleghi che nel tempo si sono trasformati in dei veri e propri amici, preziosi e indispensabili quanto il pane. Sono quei legami che, nonostante la distanza che divide fisicamente, continuano a essere un antidoto fondamentale contro la solitudine, nonostante l’isolamento. È una fortuna enorme potersi raccontare e confrontare, per farsi coraggio mentre troviamo nuove certezze, ricordandoci di restare concentrati sulle vere priorità, mentre cerchiamo un nuovo equilibrio e dei super poteri nascosti da valorizzare.
Condividere paure e preoccupazioni, creare e coltivare rapporti umani di valore, come le piantine che abbiamo sul balcone, è vitale ora più che mai, tanto quanto lavarsi le mani, mantenere le distanze e indossare la mascherina. Una rete che ci sostiene, per quanto piccola possa essere, diventa potente quanto un vaccino contro tutto questo caos. Solo così diventa meno faticoso trovare soluzioni impreviste in un mondo imprevedibile.
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